di Ginevra Moretti
Credo che la vita, seppur in mezzo a tanti ostacoli, proponga tuttavia segnali di significato.
Porsi in modalità recettiva, con le antenne dritte per cogliere questi segnali è uno fra gli infiniti atteggiamenti con cui si può decidere di affrontare la propria esistenza, o anche solo una parte di essa.
A volte i segnali sono più forti. Spesso sono molto flebili. Tuttavia ci sono. Sempre. Ed una volta che si colgono, si possono lasciare lì. Oppure si possono prendere ed usare per creare delle connessioni. Come se fossero dei mattoncini, possiamo collegare tutti i segnali l’uno all’altro, nella costruzione di noi e dell’intorno a noi. Si può costruire in verticale, ed allora ecco i muri. Od in orizzontale. E quindi ecco i ponti. Io sicuramente, almeno nel mio “qui ed ora”, di muri non ne cerco. E credo che anche il mio amico Fabio sia sulla stessa lunghezza d’onda, come ci mostra questo bellissimo blog. Ed è proprio della costruzione di un bellissimo ponte di cui voglio trattare in questo articolo.
Di un ponte che getta le sue fondamenta nel reparto La Nave all’ultimo piano del terzo raggio del carcere di San Vittore. La Nave è un reparto dedicato alla cura dei detenuti – pazienti con problemi di dipendenza. E’ nato nel 2002 ed è coordinato dall’équipe della Asst Santi Paolo e Carlo. Alla Nave sono state gettate le fondamenta di un ponte molto speciale, che riesce ad unire cura e bellezza. A far crescere le persone attraverso la bellezza della cura e la cura delle cose belle della vita.
E’ un ponte talmente forte e lungimirante che riesce ad uscire anche dalle mura più inaccessibili e a far incontrare realtà apparentemente molto distanti fra di loro. Parto dalla mia realtà, quella di volontaria dell’Associazione “Gli amici della Nave” (https://amicidellanave.it) che si occupa, sia dentro che fuori dal carcere, di recupero e reinserimento sociale dei detenuti. Parto dalla realtà di otto pazienti di Serd (Servizio per le dipendenze) con condanne penali, assunti con un contratto a progetto come staff presso la fiera “Flora et Decora” svoltasi a City Life dal 15 al 17 ottobre. Parlo di un imprenditore illuminato, il dott. Lamberto Rubini.
Parlo di un perpetuo movimento di “dare e ricevere” che si è succeduto nei giorni di preparazione e di lavoro. Gli otto lavoratori sono chi in affidamento terapeutico in comunità, chi ai domiciliari, chi in messa alla prova. Di otto, sei sono giovani e giovanissimi. Ho visto occhi lucidi all’atto della firma del contratto. Pochi giorni di un ottobre che sarebbe potuto essere un ottobre uguale a tanti altri, mi hanno al contrario segnata. La sensazione di sentirsi costruttori insieme ad altre persone di un ponte generativo è stata un’esperienza fortemente significante. Un ponte che ha permesso di camminare insieme ed insieme crescere umanamente. Il tempo trascorso a “Flora et Decora” è stato un tempo che nella sua dilatazione ha dato spazio non solo all’azione, ma anche ai confronti ed alle narrazioni. Noi volontari abbiamo sostenuto alla pari l’ inclusione pur nella differenza. In questo contesto ho potuto quindi ascoltare gli otto lavoratori e chiedere loro qualsiasi cosa senza giudizio ma con empatia, sostenendoli in questa esperienza.
Abbiamo parlato non solo “con” loro, ma anche “di” loro “con” loro. Sebbene sia volontaria già da diversi anni, tuttavia in questa occasione mi sono dovuta confrontare parecchio con le mie mappe ed anche i miei pregiudizi.
All’inizio dell’”avventura”, infatti, non nego che fossi preoccupata. Non conoscevo tutti quanti, e quelli conosciuti non li avevo comunque mai visti impegnati in un lavoro ed in un ruolo di responsabilità. Non conoscevo nemmeno il dott. Rubini, però conosco bene le dinamiche degli allestimenti fieristici, della gestione dei grandi flussi di persone, del livello di stress che a tratti si raggiunge. Sono contesti dove vi sono investimenti economici importanti (affitto della location, valore della merce in vendita, target degli espositori e degli acquirenti) e questo aspetto accresce le richieste e le aspettative sul servizio. Gli 8 lavoratori, essendo a tutti gli effetti lo staff della Fiera, sono stati pertanto investiti di un ruolo importante sotto ogni aspetto lo si voglia guardare. Ciò che è emerso nel mentre delle giornate è stata la costante messa alla prova in cui tutti quanti ci trovavamo. Ognuno per il ruolo suo proprio.
Noi volontari perché eravamo il cuscinetto di interfaccia, facendoci “carico”di persone che comunque non conoscevamo lavorativamente parlando; i lavoratori per la sfida non tanto alle esecuzioni delle mansioni quanto alla presa in carico del ruolo di colui che “controlla e fa rispettare le regole”, posizione assolutamente insolita per loro; all’imprenditore per le aspettative in virtù anche della fiducia dimostrata; i servizi per il rischio assunto. La messa alla prova è stata superata egregiamente da tutti. Il lavoro ha consentito agli 8 pazienti del Serd di acquisire una identità sociale diversa da quella precedente e di sentirsi parte di un gruppo ma soprattutto di vivere a contatto con persone che rispettano le regole inserite nella società e non ai margini.
L’ esperienza di Flora et Decora restituisce loro il senso di “normalità” ma anche li aiuta a riflettere sul sentirsi parte di una società come gli altri dove diritti e doveri, lavoro e guadagno sono aspetti importanti per essere persone socialmente integrate. Secondo queste premesse, quindi, l’ esperienza di Flora et Decora è stata un’esperienza di inclusione sociale perfettamente riuscita. Un’esperienza di ponte costruito attraverso la connessione fra loro di persone che apparentemente solo dei visionari cercherebbero di mettere insieme per raggiungere un obiettivo condiviso. E’ stata un’esperienza che ci ha messo in connessione, ci ha cresciuti e portati avanti.
Alla fine dei giorni di lavoro, i lavoratori hanno ricevuto il loro compenso congiuntamente alle lettere di referenze. La restituzione più grande che è arrivata, è stato non solo il grande valore dell’esperienza lavorativa e della fiducia concessagli, ma anche l’importanza di sentirsi parte di un gruppo, di un progetto comune e di un’identità super partes. L’esperienza più forte, quindi, è stata quella di sentirsi gruppo. Parte attiva di un progetto condiviso. E’ stata “tanta roba, per loro, sentire che non era la “solita” situazione in cui qualcuno fa qualche cosa per loro (operatori, istituzioni, volontari, etc.) ma che eravamo tutti insieme a realizzare un progetto di cui loro sono stati parte attiva, integrata ed integrante. Sono passati dal ruolo di “utenti” di un servizio, a quello di protagonisti in co-costruzione con altri alla pari. Le fondamenta del ponte caratterizzate del prezioso servizio di cura e trattamento avanzato precedentemente avviato all’interno del carcere di San Vittore, nel reparto appunto della Nave , hanno portato fuori i loro frutti, tanti altri mattoncini generativi che continuano a costruire.
Sono tanti gli incontri in una esistenza. Sta a ciascuno di noi scegliere se si tratta di un nome in più nella nostra rubrica, o di una persona in più nella nostra vita. Con tutto quello che ciò comporta, nel bene e nel male. Le relazioni generano sia gioia che dolore. Ma comunque generano. Costruiscono.
Ed eccomi quindi giunta alla conclusione di questa riflessione. Le antenne attive dei protagonisti del mio racconto hanno fatto sì che ciascuno mettesse insieme i suoi segnali captati, li codificasse secondo i propri schemi, e li mettesse poi in connessione con gli altri. Ciascuno, comunque, accomunato dal desiderio di voler andare oltre. Di voler unire i mattoncini per costruire un ponte che porti tutti dall’altra parte. I ragazzi a potersi vedere in un ruolo ben diverso da quello con cui sono abituati a vedersi, e per contro, a tutti gli altri, di vedere che nessuno è solo il suo errore, ma è anche tanto altro. Ed è la comunità, l’interazione, il confronto nelle differenze, che può dare la possibilità a ciascuno di noi in questa vita, di potersi vedere con occhi diversi e scoprire risorse nascoste. Costruiamo ponti di possibilità. Ponti che aiutino ad andare oltre.
Ponti che generino connessioni fra persone e non solo fra numeri in rubrica.
Ginevra Moretti
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