Qualcosa ci unisce, sempre e comunque. Agli altri. Come a noi stessi.
Località di “frontiera” tra Toscana ed Umbria. Mattina presto, aria fresca, il sole che sorge dietro le colline.
Apro la mappa e la incrocio con la guida: per arrivare a destinazione passeremo da Città di Castello (PG) e la visiteremo da viaggiatori. Sapendo che è la città natale di Alberto Burri.
Come spesso ci capita non siamo molto preparati: la cosa che amiamo del viaggio è il senso di libertà e di avventura. Certamente troveremo da dormire. Male che vada un posto per piantare la tenda.
E lo lasceremmo come lo abbiamo trovato, senza lasciare tracce del nostro passaggio.
Maria mi ha esortato ad essere più sul “pezzo”. Ci provo.
Lasciamo la macchina fuori dalle mura. Nessuno stress per parcheggiare. Entriamo nella città vecchia e iniziamo a guardarci in giro. Una buona segnaletica ci guida verso il centro storico. Nico ed io ci alterniamo in una lettura distratta della guida. Ad un certo punto sento un odore familiare, un misto tra pneumatici e grasso lubrificante. Alzo gli occhi e vedo una bottega di riparazione cicli. Mi incuriosisce subito. Chiedo permesso per entrare. Nessuna risposta. Mi volto a sinistra e vedo un omone con le mani sporche di grasso che parla con una coppia di distinti signori. Interrompo la conversazione. Lo guardo negli occhi e lui mi dice “prego entri pure”. Della bottega mi colpiscono molti dettagli che non vedo più da almeno 35 anni, da quando andavo dal signore delle biciclette in via Tagiura a Milano. Il mio papà mi ci aveva portato una volta ed io ero diventato suo amico. Era una brava persona: lo ricordo come se fosse ieri con la sua tuta da lavoro azzurra scuro. Lo guardavo con ammirazione perché lo vedevo fare cose che mai avrei immaginato di poter fare!
Entro, guardo in alto: una bicicletta da corsa da bambino, non ne ho mai viste prima. Agganciata al soffitto con un paranco elettrico. La bici è così come l’ultima volta che il suo proprietario l’aveva usata.
A sinistra vedo una foto d’epoca. Un bambino piccolo in sella alla sua bici da corsa, circondato da molti adulti. Hanno tutti un sorriso gioviale. Appena più a destra un’altra foto. Il bambino ora è adolescente e nella foto il papà gli ripara la bici. Non fatico a capire.
“Benvenuto nordista a Città di Castello: la città natale del Burri (Alberto ndr), l’artista del Cretto di Gibellina. Pensa che c’è un paese che si chiama Santa Ninfa…”. Ecco tutto torna. Chiamo Nico e Matteo. Quel resiliente filo che ci unisce al Signor Giogli di Città di Castello. Nelle cose belle e in quelle tristi. Perché non siamo mai soli.
Un filo di fiducia e di altruismo. Mentre parliamo entrano dei residenti e prendono nella bottega dei pomodori, nessuno interrompe la conversazione, capisco che sono dei pomodori dell’orto del Signor Giogli. Chi ne ha bisogno ne prende un paio, sono pomodori da insalata. E’ un bel modo di fare rete.
Si sta facendo tardi, ci porge tre biciclette e dice “vai ragazzi pedalare…ci vediamo dopo”. Chiedo “A che ora apre”? , risponde “sono sempre aperto, perché ricevo molto di più di quanto riesca a restituire”.
Pedaliamo e vistiamo la città.
Alle 14.30 entriamo nella Fondazione Burri. Una visita che vale da sola il viaggio. Scopriamo il Burri che non conosciamo, quello materico, ci perdiamo nelle emozioni. Scopriamo le sue opere. E capiamo. In un attimo stiamo passeggiando nel cretto di Gibellina, come ogni fine estate.
Restituiamo le biciclette. Il Signor Giogli ci dona la sua mappa dell’Umbria, ci ha segnato degli itinerari che seguiremo.
Perché ci unisce un filo: resiliente e resistente.
Fabio Catellani
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