La prima risposta che riesco a darmi è perché ricevere fiducia dagli altri mi dà un senso di pienezza e completezza difficilmente descrivibili.
Fede e fiducia sono due atti molto diversi tra loro. La fede è assoluta ed esprime sempre una parte dogmatica. La fiducia è un atto sospeso e per questo incerto. Senza “l’altro” non avrebbe nemmeno senso di parlare di fiducia, a differenza della fede che non prevede un soggetto tangibile. Sono quindi i nostri limiti che ci spingono ad un’interrotta ricerca di fiducia. La fiducia la si ottiene sul campo perché richiede interazione e socializzazione; è indispensabile “incontrarla” direttamente: in famiglia, a scuola, in Chiesa, agli scout, nel quartiere, nel condominio e certamente anche in politica. Solo dopo averla sperimentata, ne potremo fare dono agli altri.
Ho deciso di dedicare tempo alla politica perché non posso girarmi dall’altra parte davanti ai problemi, ma condividerli e trovare soluzioni. Per il bene comune, generando alleanze tra le Istituzioni. Impegnandomi in politica, vivendola come servizio, restituendo tutto quello che ho ricevuto.
Credo che la politica si stia rivalutando, partendo da quello che deve essere: la ricerca del bene comune senza se e senza ma. Alcuni tendono a non esporsi perché sfiduciati: la tendenza troppo diffusa a rimandare scelte che orientano la loro vita e quella degli altri ci espone al rischio del grigiore, che non considera l’esistenza di una vita che conosce le sue mete. I talenti ricevuti spesso restano inutilizzati. E invece noi dobbiamo usarli, metterli a disposizione della nostra comunità.
La cittadinanza può essere “solo” conforme alle regole, alle normative, oppure “attiva”, che non delega quello che può fare direttamente: fare rete, fare associazionismo, mettersi in gioco per fare una città più bella, più partecipata. In questo si pecca a mio parere un po’ di comunicazione, in quanto sono molte le possibilità di collaborazione a livello di amministrazione tra pubblico e privato. E l’ignoranza crea talvolta incomprensione tra aspettative e concrete soluzioni dei problemi. Ma è sufficiente “ascoltarsi” e tirare fuori la parte migliore di noi e guardare avanti con fiducia.
Nel corso della pandemia giovani e meno giovani si sono sentiti solidali e chiamati a fare la loro parte non solo nell’emergenza, nel consolidare relazioni, nello svilupparne nuove, nel guardare più in profondità “all’altro”, nell’avere un più salutare rapporto con il tempo, con lo studio e la lettura.
Piuttosto che “Sono stanco!” conviene dire “Eccomi!”. Piuttosto che dire “Per favore aiutatemi!”, vorrei dire: “Che cosa posso fare per aiutare?”.
Pensando alla politica, alla migliore politica ricordo dall’autobiografia di Nelson Mandela: “Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre più difficili da scalare”.
Fabio Catellani
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