Sicuramente un’occasione persa.
A fronte di un diritto costituzionale che garantisce “universalità ed equità di accesso a tutte le persone” e alla L. 833/78 che confermava la “globalità di copertura in base alle necessità assistenziali dei cittadini”, riporto, fonte sito della Regione Lombardia l’articolo 1 della riforma avvenuta con l’approvazione della Legge Regionale nr. 96 del 30 novembre 2021.
Per assicurare libertà di scelta al cittadino, si stabilisce “l’equivalenza e l’integrazione dell’offerta sanitaria e socio sanitaria delle strutture pubbliche e delle strutture private accreditate” e, “in un’ottica di trasparenza”, “parità di diritti e di doveri tra soggetti pubblici e privati che operano all’interno del Servizio Sanitario Locale”. Le parole contano. Eccome. Equivalenza significa equivalenza. Certo poteva andare peggio, al peggio non c’è mai fine.
Scorrendo il testo il sostantivo femminile integrazione è molto ricorrente e si sublima nell’approccio one health “finalizzato ad assicurare globalmente la protezione e la promozione della salute, tenendo conto della stretta relazione tra la salute umana, la salute degli animali e l’ambiente”, che vengono promossi quali “elementi fondamentali di un corretto stile di vita”.
Certamente su un piano astratto è condivisibile, ma l’approccio one health descritto nella riforma mi ricorda molto la tecnica di vendita all in one…applicata alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
L’integrazione sanitaria lombarda “suona come un cembalo a vuoto”. Riafferma e consolida i principi della precedente riforma. Quali sono state ad esempio le leve attuative già previste dalla Legge Maroni 23/2015 e i risultati raggiunti? Quali sono stati i benefici per la sanità regionale pubblica? E per i cittadini?
Perché, in attesa della pubblicazione e di leggere la “riforma” scrupolosamente ed in profondità, un aspetto mi pare evidente: la totale assenza di condivisione e di inclusione della minoranza in un tema così delicato. Ed io da cittadino vedo limitato il mio diritto, costituzionalmente, garantito alla salute. Nei fatti, la riforma del titolo V della Costituzione, che doveva condurre ad un federalismo solidale nella sanità ha portato ad una deriva regionalista con 21 sistemi dove l’accesso a servizi e prestazioni sanitarie è profondamente diversificato e iniquo. E che nelle Regioni a più alto reddito ha valorizzato il privato.
Cosa significa che verrà favorita una sempre maggiore integrazione tra i medici di medicina generale, il cui ruolo viene definito “centrale”, e gli specialisti ambulatoriali e ospedalieri. Previsto l’esercizio dell’attività dei medici delle cure primarie “preferibilmente attraverso l’erogazione delle prestazioni negli ospedali di comunità e nelle case della comunità”?
E il ruolo delle farmacie, ormai quasi completamente private? Le farmacie non vengono più considerate semplicemente luoghi di vendita e distribuzione dei farmaci ma connotate da nuovi compiti che ne fanno punti di una rete capillare al servizio del cittadino. Le farmacie inoltre contribuiscono alla realizzazione della presa in carico dei pazienti cronici. Cioè? Il ruolo che giocheranno le farmacie mi incuriosisce molto.
Concludendo. A mio parere questa non è una riforma, ma la conferma del fallimento dei SSR (Sistemi Sanitari Regionali) e la restaurazione della sanità di mercato ante litteram.
Fabio Catellani
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