Cito Giuseppe Lazzati “La politica, che intendo come costruzione della città dell’uomo, resta la più alta attività umana, per realizzare quel bene comune che è da intendere come condizione per il massimo sviluppo possibile per ogni persona”.
Non riesco a non “pensare politicamente”. Mi rendo conto di quanto io sia egoista, inadeguato ed impaziente.
Parto sempre da me e dalla stessa domanda “Come posso aiutare”? e ci provo con idee e progetti.
Credo davvero che “la politica sia la più alta forma di carità”, Paolo VI, ma fatico davvero a “pensare politicamente”.
Mi guardo attorno e vedo una certa discrasia nelle definizioni di potere. La mia è il verbo, il poter fare, il poter restituire. Un’altra è il sostantivo, “il potere”, come fine, come perseguimento di interessi sia collettivi che particolaristici. Ed è una definizione che mi piace molto meno.
La politica è come l’arte, la cultura: devono avere come come obiettivo primario la cura della persona, della comunità.
Perché mettere limiti al “pensare politicamente”? Ci vogliono gradi o esami per esprimere opinioni e proporre idee?
Io penso di no, certamente servono i voti per veder realizzate le proprie idee e ancor prima che qualcuno le condivida.
Io non riesco a “pensare politicamente” a compartimenti stagni: famiglia, Condominio, Parrocchia, Municipio…
Sarei una fotocopia e desidero essere originale.
Non mi accontento più degli slogan, delle ricerche di mercato, dell’indice di popolarità, dei prima i candidati e le colazioni e poi i programmi.
La personalizzazione della politica, la mancanza di una squadra o la ricerca di una squadra solo durante il calcio mercato, le campagne elettorali…
Desidero una politica che torni a sognare, ad avere una visione. Il sogno non è un’utopia, è qualcosa di realizzabile.
Con la fatica di approfondire e di entrare nel “profondo” delle questioni. Non può esistere la politica “dei 100 giorni” o del “termometro”.
Esiste solo la buona politica. Oltre alle ideologie, oltre alle diffidenze e alle differenze.
Ora torno nelle retrovie, in una trincea fredda a rileggere “Sergente di Ferro” di Mario Rigoni Stern…”Segentmagiù, ghe rivarem a baita”?
Non ho certamente una risposta ma sento quelle parole dentro di me spesso.
Perché sono parole di responsabilità, memoria e speranza. Di vita e di morte.
Fabio Catellani
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