Con i suoi nuovi “centri”, ma temo l’etichettamento dei quartieri”. E l’emergere di “nuove periferie”.
E’innegabile, osservando l’evoluzione urbanistica della nostra città degli ultimi 15 anni, come la nostra metropoli sia mutata. Non esiste più un “centro” ma “nuovi centri”. Per essere ancora più espliciti non esiste più solo il centro storico, ma abbiamo “nuove” aree (penso a CityLife, a Porta Garibaldi, all’Isola, Scalo Romana ecc.). Si è trattato da un lato di uno sviluppo fisiologico ed all’altro di un’accurata pianificazione urbanistica. Credo peraltro che non sia un’utopia quella della “città a quindici” minuti, ma una possibilità concreta e tutt’altro che irrealistica.
Milano è sicuramente più bella, più internazionale con un suo peculiare skyline che non ho mai visto altrove nel mondo. Non scrivo più bello, ma originale, unico, non una “fotocopia”. Non mi stupisce nemmeno che uno dei più importanti editori mondiali di guide turistiche ora pubblichi delle guide per zone, io le definisco così. Certamente non credo esistano definizioni universali di zone e di quartiere. Ogni volta che chiedo ad amici che si occupano di materie diverse, ottengo risposte diverse.
Quindi dipende. Dipende da quale parte osservi la città. Io la guardo dal mio personale “osservatorio”.
Abito nel quartiere dei Navigli da circa 12 anni. Con il recupero e la valorizzazione dell’area (penso alla Darsena, al Mercato Comunale, alla riqualificazione delle sponde dei canali) in occasione di EXPO2015, il quartiere è decisamente migliorato da un punto di vista estetico e funzionale. Penso anche all’enorme lavoro dei volontari dell’Associazione Parco Segantini che hanno d’accordo con il Comune, creato il “parco che non c’era e adesso c’è”. Un vero e proprio “polmone verde” di 400.000 mq nel “cuore” di Milano.
Da un punto di vista sociologico invece il quartiere dei Navigli è ormai “etichettato” come quartiere del divertimento, della movida, una sorta di zona franca dove si fatica da un lato a mantenere l’identità di un quartiere, che storicamente era un quartiere di accoglienza, ma che ora progressivamente vede perdere residenti per il combinato disposto dell’aumento dei costi delle case e per la ormai quasi esclusiva e monotematica offerta commerciale.
Da un punto di vista urbanistico e di viabilità ho assistito da un lato ad una interessante visione per creare un percorso pedonale da Romolo alle Colonne di San Lorenzo dall’altro una eccessiva penalizzazione dei residenti sotto molteplici punti di vista.
Da un punto di vista sociale invece il “mio” quartiere sta decisamente peggio. La fascia di cittadinanza con minor reddito disponibile si è ampliata (sufficiente vedere le dichiarazioni dei redditi con CAP sul sito dell’Agenzie delle Entrate) ed il divario di benessere sociale interquartiere si tocca con mano. In tutti questi anni, le diverse amministrazioni locali, hanno fatto davvero poco per le “periferie” dei cosiddetti centri come quello dei Navigli. Un esempio banale: al Parco Segantini (uno dei più grandi parchi cittadini) non abbiamo nemmeno un’altalena; ci abbiamo provato come Associazione a nostre spese ma l’iter autorizzativo ha fatto desistere anche i più coraggiosi tra noi.
Come possiamo anche solo ipotizzare interventi strutturali nell’edilizia pubblica o convenzionata? O pensare a interventi di sostegno alla povertà e all’inclusione?
Un nuovo paradigma è possibile: partendo dalla carità sociale, dall’ambiente e dalle periferie (geografiche, esistenziali ed umane): di ogni quartiere. Collaborando tra i vari livelli di amministrazione locale.
di Fabio Catellani
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